e altri pezzi domestici
Se Shelley teorizzava il poeta come «legislatore segreto», Byron con le sue opere e i suoi gesti – il gran teatro di sé, il variopinto caravanserraglio di domestici, medico personale, cani e altre specie con cui attraversava l’Europa – è stato il legislatore manifesto: un legislatore paradossale, provocatorio e vibrante, come il suo primo discorso alla Camera dei Lord – un ribelle, un eslege che affascinava con i suoi versi e i suoi eroi «normativi» quanti non osavano sottrarsi al giogo delle regole correnti.
È difficile dire quanto di un poeta che è stato così noto e apprezzato e di così grande influenza, sia ancora leggibile oggi. Certo è che il byronismo come un veleno vitale è corso nelle vene di poeti europei e americani – basti pensare a Poe, a Baudelaire – anche se nei loro versi si trova filtrato in più elaborate quintessenze.
È probabile però che nelle liste del lettore contemporaneo i poemi epico-lirici di esorbitante egotismo e eroismo sublime, quali il Childe Harold o il Manfred non siano inclusi; mentre con più sicura fortuna possono trovarvi posto il poema epico-ironico Don Juan e, in modo speciale, gli Occasional Pieces e i Domestic Pieces, i quali non sono altro che le non poco numerose e spesso mirabili poesie brevi che hanno costellato le grandi composizioni: quelle dove il poeta ha fatto scialo di maschere e panneggi, moltiplicando voci e registri, per rivelarsi celato nei suoi eroi pseudonimi.
Non che nei pezzi d’occasione e domestici, che sono il cuore di questa scelta, Byron sia senza maschera: Byron era sempre in maschera, c’è in lui una coincidenza fatale di maschera e volto. Del resto, come in altri autori-attori (D’Annunzio, Pasolini...), la sua poesia appare quasi un’estensione della recita mondana. La differenza è che qui egli recita se stesso.
Amore e morte sono i temi di questi versi, tradotti con pari empatia e perizia da Francesco Dalessandro: un amore infelice e infedele, secondo il canone byroniano, e una morte che insidia nome e gloria e si estende a una immaginata, immaginifica fine del mondo – quella Tenebra cui oggi potremmo perfino riconoscere una luce di profezia.
Traduzione di Francesco Dalessandro
Con dieci disegni di Nancy Watkins
da Il sogno
Così, più non faremo i vagabondi
I
Così, più non faremo i vagabondi
fino a tardi, la notte,
benché il cuore sia sempre innamorato
e sempre risplenda la luna.
II
Poiché la spada il fodero consuma
come l’anima il petto,
per respirare vuole quiete il cuore
e aver riposo amore.
III
Se anche la notte è fatta per amare
e troppo presto fa giorno,
noi non andremo più intorno
vagando al chiar di luna.
(Traduzione di Francesco Dalessandro)
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