Quattro voci diverse si levano dai quattro Racconti mortali di Lucio Persio per dire un’unica condizione: la perdita di sé. Il dolente e feroce avvitarsi su se stesse di vite che hanno sconfinato, giunte in un loro triste o truce al di là. È un funebre vociferare quello che trascorre da racconto a racconto, affidato di volta in volta a drammatiche pagine di diario, come in Incisioni e in Mostar, a un monologo turbolento, in Medusa, o a una lettera, in Sparizione, venata di tragica comicità.
Persio è un coltivatore di paradossi, un esploratore di parossismi, capace di avventurarsi in regioni della mente devastate e in subbuglio e di riferire, in questi suoi «scorci», di deliri e derelizioni con grande castità ma non senza una empatia che si manifesta in controllati terremoti stilistici, all’interno di una scrittura lucida e visionaria, sghemba e impeccabile.
In copertina un disegno di Nancy Watkins
da Racconti mortali
Sparizione
[...] «Vedi, io sono pronto a morire – ma vorrei sparire – sparire, come Empedocle, come Hart Crane: loro sono i miei esempi luminosi – uno per fuoco e l’altro per acqua: i dioscuri del suicidio, le gemine stelle cui guardo, da cui mi lascio guidare». Tu continuasti a sorridere, il tuo sorriso lieve, olimpio, alieno dall’incredulità come dall’apprensione: era così incoraggiante quel tuo sorriso, il tuo sguardo empireo così celestialmente aperto ad accogliere il transfuga, a sostenerlo, che non esitai a proseguire.
«Non voglio dire che sono pronto a uccidermi stanotte o domani: finché avrò qualche ragione, o una residua voglia, di vivere, il suicidio resta solo un conforto, una luce per i giorni più bui: il suo pensiero è un esercizio spirituale, o come la preparazione a un sacramento. Questo significa essere pronto. Ma è appunto qui che nasce il problema». [...]