Si apre con una fotografia, con i versi che la raccontano, questo libro di poesie impressive e luminose, ovvero con un passato che la luce di un’ora dorata ha fermato in un suo immutabile presente. È il passato-presente dell’istante. E le sette elegie che lo celebrano sono delle «istantanee» che assommano in sé, con grande felicità poetica, sette lustri di felicità amorosa, mettendo in scena, attraverso istanti esemplari e memorabili, la mutevole identità del rapporto coniugale.
Sono i gesti, i pensieri, i dialoghi, reali o immaginari, gli affondi della passione e i patemi dell’affetto che, rinchiusi nella forma tenera e refrattaria che conferisce loro la poesia, si oppongono all’evanescenza dei giorni. Nel loro fragile ma resistente dispiegarsi nel tempo stabiliscono una di quelle rare, ardue evenienze in cui l’idea, il desiderio di durata possono, con dolcezza, incarnarsi quaggiù, sotto il cielo della volubile luna.
In copertina un dipinto di Reggero Savinio
da Ore dorate
Se oggi volgendomi
guardo indietro a quell’attimo
colto e impresso da un occhio
gentile ma estraneo, un remoto
presente di serene aria e luce
non nostre di cui profittammo
presto perso e rimpianto si dona
a noi dalla foto che negli anni
è stata ricordo e ammonimento
severo; ma se guardo al futuro
impensabile inatteso che da quei
lontanissimi giorni in cui la mente
innamorata di segni a dilezioni
atroci legò il cuore poi che verdi
speranze gli si offrivano (gelo
e delusioni alternandovi) sarebbe
nato oggi ricordando il lontano
transito dall’anno ottantasette
all’ottantotto nell’ora di un altro
e più intimo passaggio dell’età
riconosco nell’attimo il nostro
sentimento (di ciò che avevamo
e perdemmo di ciò che perduto
ritrovammo) e a tale conoscenza
si fa riflessivo anche il cuore
sopportabile il peso dei ricordi
e segreta come al polso il battito
l’ansia dolce di vivere invecchiare
insieme.
COME AL POLSO IL BATTITO
di Simonetta Melani
«Erba d’Arno», n. 112-113 prim.-estate 2008
Il dono dell’amore fa dono di sé. Altro non necessiterebbe dire di questo esile libriccino, cosi minuto e serrato nell’azzurro della sua copertina. Nel primo quarto a sinistra Ruggero Savinio, un tocco di colore e di oro, quasi una finestrella aperta sul mondo. È, il bravissimo pittore, un amico di vecchia data degli intellettuali che facevano capo ad Arsenale, storica rivista letteraria romana, a metà degli anni ’80, di cui fu redattore – con Gianfranco Palmery, allora direttore e ora editore de Il Labirinto – il poeta che qui presentiamo. La finestrella di Savinio è in sé già prefazione al libro.
Lo sguardo. E come un nodo che ritrova i capi e si stringe in sé, la poesia di Dalessandro è un volo ronzante, all’apparenza deviante, che parte da un punto fermo, da un osservatorio – in genere da una finestra, appunto – e che poi si ritrova facendo tesoro del raccolto: visioni e parole in pugno, quasi un segreto. Sguardo che annusa e arraffa e fruga e pesca basso, nel bianco e nero della memoria e che nell’andare si gonfia di sé come una nuvola. E' un paesaggio naturale e dell’anima ciò che scova e saccheggia: dalle ombre vive o defunte del piccolo giardino – microuniverso pulsante, vivaio operoso e complice compagno esistenziale – all’orizzonte disegnato dal crinale del Pineto davanti casa, su una Roma mai nominata, ma appena appena accennata con un tocco d’inchiostro. Una scrittura morbida e sensuale che apre e chiude, sottolinea e tralascia. Una scrittura elegante che non urla ma sottace, passa veloce e lascia una scia che resta a noi segreta. Poi si raccoglie e si ritrova nella vegetazione delle erbe e dei cuori.
L’eleganza degli affetti consueti, chiusa nella discrezione delle stanze private, sta appesa come un abito di lino sgualcito ma proprio per questo più prezioso; sta nella foto di anni or sono, quella scattata – ti ricordi? – da un passante, tanto per essere almeno ripresi una volta insieme, in coppia… La coppia. L’affanno dell’amore strappato alla noia e goduto. I suoni sordi e accaldati delle casse toraciche aperte sulla verde frescura del giardino, che viva, con le sue creature, e rigogliosa e profumata, s’intreccia con la figura dei due amanti nei loro interni: vita rampante unita ai palpiti e alle aritmie di chi la cura e la vigila. Amore con amore. L’intreccio è botanico, biologico. Sì, l’amore va curato come un giardino, ripulito, medicato, rinnovato, nutrito e difeso.
L’amore è un atto creativo continuo e come un’opera d’arte ha qualcosa di divino se si salva. Amore domestico, il più caro e il più costoso, quello che si fa tessuto del tuo corpo, della tua vita, che poggia la testa nel nido della tua storia, l’arruffa e la rinverdisce. Nessun clamore ma ordinario splendore nel decoro del lessico, così intimo e intenso e discreto. Un parlare fra noi, un dirsi senza spiegare che già ci siamo capiti. La calma, l’attesa, l’impazienza, il tempo del confronto, l’abbandono, i ritorni, le offese e le ferite, le perdite, i risarcimenti, le carezze e i baci. L’arte del ricamo ma anche del rammendo. La somma delle complicità e delle differenze. Le luci e le ombre. Ed ecco brillare nella penombra la carne, ecco gli affondi e, ancora dopo tanti anni, le moine, i vezzi del corteggiamento e le pause e i suoni accorti della presenza quotidiana, la tenerezza che si vizia delle abitudini rassicuranti ma che sa sorprenderci con improvvisi colpi di coda. Vita coniugale: uno spaccato, anzi sette, sette lustri di vita, sette poesie incantevoli.
E Francesco Dalessandro le dona a sua moglie, a Dora, nei giorni del loro anniversario. E la sposa lancia il suo bouquet a noi. E alla fortuna di chi lo raccoglie.
LA POESIA DI FRANCESCO DALESSANDRO
di Rosa Salvia
da «Polimnia»
Ne Le ore dorate l’inquietudine e il pessimismo sembrano placarsi lasciando spazio al canto d’amore delicato e sensuale. Il poeta contempla l’enigma e trae nutrimento dall’amore coniugale che non è «l’anestetico dei versi» [...]
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