Stories Toto Told Me fu il primo libro di Frederick Rolfe, o Frederick Baron Corvo, come firmò quello e parte dei libri successivi; fu anche il primo ed unico successo letterario, lui vivo. Apparse nello «Yellow Book» tra il 1895 e il 1896, e pubblicate in volume nel 1898, le Storie raccontatemi da Toto furono seguite, proprio per il favore incontrato, da una nuova serie di ventisei racconti, A sua immagine, che uscì nel 1901.
Si tratta, nell’insieme, di un bizzarro decamerone di storie sacre che si fingono narrate da Toto, un ragazzino abruzzese, al personaggio-autore, prete mancato e barone immaginario, con il quale divide i vagabondaggi per la campagna romana, in veste di servitore, oltre allo spazio narrativo. Dio, la Madonna, «Satanasso», e angeli e dèmoni loro emissari, e Santi vicari, ne sono i protagonisti d’eccezione, colti negli eterni antagonismi che li impegnano per cielo e per terra; Cielo e Terra risultando del resto mondi speculari, comunicanti, con essenze divine (o infernali) e sensi terreni che si toccano e si contagiano in un rimescolio fiabesco. Lo stile è alla pari: candore e artificio, intensità lirica e affettazione, affidati a un linguaggio che rivela tratti d’epoca prezioso-decadenti, ma anche un personale talento per la manipolazione verbale, una paradossale capacità di variazione di registro nell’ambito di una pronuncia tirannica.
Non è ancora il Rolfe maggiore: lo scrittore sapiente e vigoroso dell’Adriano Settimo – il suo capolavoro, e uno dei libri più singolari e ammirevoli della letteratura inglese; o lo strenuo stilista e sperimentatore che anticipa Joyce, del Don Tarquinio e del Don Renato; ma i racconti hanno già un’impronta d’inconfondibile originalità – d’invenzione, di dettato –, e alcuni di essi, come questo Nostra Signora dei Sogni, sono incantevoli e perfetti.
Traduzione di Teofilo Belz
In copertina un dipinto di Nancy Watkins
da Nostra Signora dei Sogni
[...] In quella sola notte d’estate un fuoco bruciava senza ragione nel mio cervello. Pensieri, idee, fantasie, problemi da risolvere venivano, in folla incessante, a dispetto della mia volontà. Sembrava che un cacodèmone cavalcasse il mio intelletto, incitandolo al delirio con frusta e speroni. Disteso in una quiete di morte, stringendo rosario e crocifisso, e la miniatura dei miei cari, i miei occhi chiusi mi videro com’ero, sviato dalla mia strada, la mia vita spezzata, inceppata, ostacolata – deluso nella mia unica ambizione, totalmente inutile. Gli altri invidiavano la mia libertà, e certo avrebbero bene accolto la felicità, la salute e il potere, che mi erano stati offerti beffardamente in cambio delle catene che bramavo. Ma io no. Sarebbe stato troppo comune. Io ero infelice. Ero vicino alla follia. Nessuna medicina poteva darmi pace. Nessuna preghiera, riposo. [...]
(Traduzione di Teofilo Belz)
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