In queste pagine si va, con un balzo felino, dal gatto misterioso, angelo e sfinge, di Baudelaire, alla gatta plebea di Contadini, familiare coi malanni, la malasorte, fatalmente e teneramente comica nella sua felice impudenza; e tra questi due poli, tra il gatto della mente e il gatto della carne, si muovono le altre figure di una animata galleria in cui umanità e gattità si mischiano, s’intrecciano, braccia e zampe, in una solitudine confortata, come Charles Cros e il suo gattarello nero; o si dilettano, in finte zuffe, la mano bianca e la bianca zampetta, la donna e la gatta di Verlaine...
È la quotidianità condivisa, fatta di appuntamenti ai pasti, corse, guizzi tra le gambe – solo rammemorata nell’epitimbio «classico» di Hemingway per Crazy Christian, «che non visse abbastanza per fare l’amore» –, di solitarie scorribande e sonore baruffe, negli scorci fulminei di Sinisgalli, e di tutte le care pose, miti o irruenti, così come sono colte nei versi di Palmery e Albisani, alle prese con gatti guerrieri, gatte inquiete, finché non sono più che forme serpentine anellate nel sonno, sognanti.
Traduzioni di Gianfranco Palmery
Disegni di Amanda Lebus
da Gattesca
I gatti
Gli innamorati ardenti e gli studiosi
austeri, in età matura, entrambi amano
i gatti forti e dolci, orgoglio della casa,
come loro intanati e freddolosi.
Amici del piacere e della scienza
cercano il silenzio e le orrende tenebre;
l’Erebo ne avrebbe fatto il suo tiro funebre
se la fierezza non li negasse all’obbedienza.
Prendono assorti i maestosi atteggiamenti
di grandi sfingi al fondo dei deserti,
perdute, pare, in sogni senza fine;
mandano scintille i loro fianchi fertili,
le mistiche pupille, come una sabbia fine,
sono disseminate di dorati frammenti.
Charles Baudelaire