Prose e poesie
A cura di Gianfranco Palmery
La breve vicenda umana di Fracassi è così profondamente intrecciata con la sua opera, che la lettura dei testi, di per sé, può fornire, per chi ne avesse curiosità, anche i ragguagli più esteriori. In realtà, di esteriore qui vi è ben poco, tutto essendo stato vissuto e consumato, parossisticamente, all’interno.
Per questa ragione, mentre sarebbe stolto leggere queste pagine solo come un documento patetico, una drammatica tranche de vie, resta comunque azzardato porle in un ambito esclusivamente letterario, proporle come il frammento di un romanzo epistolare (con gli ovvi richiami ai modelli protoromantici di un Werther o di un Ortis), di cui un evento sventurato abbia impedito il compimento.
La verità è che quest’opera, esigua ma intensa, appartiene a quel genere di opere (e a quelle regioni dello spirito), nelle quali un confine sottile – talora sottilissimo – separa, o fonde, esperienza e letteratura, verità e finzione, forma e tragica necessità.
In copertina un dipinto di Nancy Watkins
da Senza figure
Lettere a Marco
Caro Marco, ero stato, tanti giorni, inerte, ad ascoltare le vane e vanitose querele della mia desolazione, quando le tue parole m’hanno, per un istante, reso la sensazione dell’esterno, della realtà chiara e vitale: inutilmente. […] Anch’io mi maraviglio di me, come possa intieramente abbandonarmi alla passione. Lo spiego con la mia insaziabile curiosità di penetrare nell’animo delle cose, per goderne e soffrirne tutta la caducità e la mutevolezza, e restarne preso, e affascinato, in ragione della loro durata tenue, della loro morte sicura, della dimenticanza da cui saranno coperte, dell’indifferenza e del tempo sotto di che rimarranno sepolte. [...]
Senza figure
VII
Settembre e la sera declinano: dalle giunture
le membra mi s’allontanano; resti tu sola.
Cadavere sopra cadavere; la Terra è morta
sulla spoglia dell’estate riversa.
Il mandorlo, con i suoi rami
carichi, assiste.
Io penso che questo sia
il paese di là dalla terra favoleggiato
eguale, immutabile, fermo,
d’un colore calmo,
d’un profilo nitido.
Le vene più non mi battono; il sangue dal cuore
più non fluisce; le zolle sono aderenti
alle mie ossa; disteso lungo i solchi
seguo le gemine onde, la passione e l’oblio,
configurarsi e confuse scorrere dalla luce,
ristagnare in un bacino opaco.
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