Se la poesia è restituzione (o quantomeno tentativo di restituzione) di nome e senso agli oggetti del reale; se si configura come azzardo prestandosi così all’eventualità di uno smacco, essa contiene i tratti di una sfida che implica per il lettore una responsabilità di partecipazione - e di complicità - che lo espone agli stessi rischi dell’autore. In Oggetto e circostanza, summa dell’opera poetica di Gino Scartaghiande, la sfida o, meglio, le sfide assumono un carattere permanente all’insegna della più vitale provocazione, dello “scandalo”, di una pervasività di toni e significazioni al tempo stesso affilati, laceranti e poi colmi di dolorosa dolcezza, disperati e aperti alla necessità e alle medicazioni del canto. Le sprezzature, le collisioni, gli scarti linguistici, alcuni neologismi tanto singolari quanto affatturanti, coniati dal poeta, spezzano ogni prevedibile costruzione del verso, ogni corrivo lirismo. I temi stessi che variano dal sentimento dell’identità – nei Sonetti d’amore per King Kong, innanzitutto – a quello della nostalgia, del rammarico e della perdita concorrono a istituire feconde relazioni tra un “alto” e “basso” esistenziale, per poi armonizzarsi in un lungo originalissimo flusso poetico di grande caratura e complessiva bellezza. Poeta di raffinata cultura e sensibilità, Gino Scartaghiande offre al lettore uno scenario in versi in cui si condensano certi umori, certe inquietudini e istanze linguistiche proprie della poesia contemporanea. Oltre che i moti di un cuore, senza infingimenti, messo a nudo.
In copertina: Dipinto di Giovanni di Carpegna
da Oggetto e circostanza
I raggi stanno tessendo
quest’addio. Non sono più
la fantasia. Non ho memoria
che sotto di me, furono
splendidi, freddi, quei
concavi cieli. A chi do
perdutamente
i miei baci,
se nella strada, in un attimo
ti fermi dietro di me?
Sto consumando lentamente
questa terra. Non per le strade
che seguo. Io se non te. Non
per conservare, ma essere
che tu sia. Dove si fa chiaro
io sto diminuendo dentro.
Che tu avvenga. Che tu possa
sopra un’urna chiara d’erba,
vedere quest’oasi di noi.
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