Uno Shelley essenziale e «notturno», lontano dall’immagine più corrente del poeta di panica eloquenza, è quello che qui si delinea, per una adesione originaria, si direbbe, al cuore più oscuro della sua poesia, e alla sua forma più nitida, da parte del traduttore; il quale non nasconde di preferire all’Ode al vento occidentale, le Strofe scritte nello sconforto, presso Napoli.
«È una questione di tonalità, non di valore – come dichiara nella nota che accompagna questa scelta –; di congenialità più che di giudizio. Così, ex contrario, fra le tradotte è potuta entrare una poesia di evanescente passione notturna quale Serenata indiana e insieme quella vanitas colossale e comica che è Ozymandias…
Del resto, circola una tale raggiante energia nel paesaggio dello sconfortato, una tale forza nella malinconia della sua consapevolezza (“… poiché io sono / uno che gli uomini non amano – eppure rimpiangono”), che non si tratta precisamente di una differenza dal giorno alla notte: di fatto, la sua notte ha sempre un’invincibile luminosità; la sua tenebra, un ardente splendore.
È rimasto nella mia memoria – così per lo più succede – qualcosa come uno spolverio stellare di alcune poesie: versi o mezzi versi che non hanno mai smesso di scintillare: le traduzioni sono venute spesso guardando a quelle scintille».
Traduzione di Gianfranco Palmery
Con tre disegni di Nancy Watkins
da Alla Notte e altre poesie
Alla Notte
I
Avvìati svelto sull’onda d’occidente
spirito della Notte!
fuori dell’antro offuscato d’oriente
dove hai intrecciato tutto un lungo giorno
di solitudine sogni di gioia e paura
che ti rendono terribile e cara –,
sia veloce il tuo volo!
II
Avvolgi la tua forma in un grigio manto
intessuto di stelle;
acceca coi capelli gli occhi al giorno,
bacialo fino a stremarlo,
poi vaga su città, su terra e mare
tutto toccando con la bacchetta oppiata –
vieni, a lungo cercata!
III
Quando mi sono alzato e ho visto l’alba
ho preso a sospirarti;
con la luce più alta, svanita la rugiada,
il meriggio che gravava su fiore e albero,
e il giorno allo stremo che non si decideva
ospite odioso a togliersi di mezzo,
ho preso a sospirarti.
IV
Morte è venuta, tua sorella, gridando:
vuoi forse me?
Tuo figlio Sonno, soave occhivelato
come un’ape meridiana ha sussurrato:
mi anniderò al tuo fianco?
vuoi forse me? E io di rimando,
no, non te!
V
Morte verrà quando sarai morta,
presto, troppo presto –
Sonno verrà quando sarai sparita;
all’una e all’altro non chiederei la grazia
che chiedo a te, amata Notte –
sia veloce il tuo volo che si avanza,
vieni presto, presto!
(traduzione di Gianfranco Palmery)
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