Annunciati in due diverse lettere all’amico Robert Bridges (il 17 maggio 1885: «Dopo lungo silenzio ho scritto due sonetti, che sto ritoccando: se mai qualcosa venne scritta col sangue fu uno di essi»; e il 1 settembre dello stesso anno: «Fra poco avrò alcuni sonetti da spedirti, cinque o più. Quattro sono venuti da ispirazioni spontanee contrarie alla mia volontà»), ma mai spediti, i sonetti furono ritrovati tra le carte del poeta dopo la sua morte. Nella prima edizione delle poesie complete, da lui curata, commentando Conforto carogna – il titolo è suo – Robert Bridges annotò che probabilmente era quello il sonetto «scritto col sangue»...
Altre volte Hopkins aveva sofferto periodi di depressione, di aridità spirituale e artistica, come testimoniano molte poesie precedenti, ma la tensione non era mai salita a livelli tali d’angoscia; anzi, egli era riuscito a indirizzarla nel verso giusto e a trarne, con grande sapienza, quella sua speciale musica, quella tessitura inconfondibile... D’altra parte, questi sonetti, nonostante il carattere profondamente intimo e la spontaneità dell’ispirazione, dimostrano che il lavoro sul ritmo resta notevolissimo e la partitura musicale che ne scaturisce, di altissimo livello – senza trascurare che anche nei più desolati si sente una nota di eroica resistenza e di stoica accettazione che è più forte del più forte tono di autocommiserazione. Insomma, il gruppo del 1885 e i due del 1889, gli ultimi, con la loro austera concisione e incisiva intensità, rappresentano il coronamento dell’attività poetica di Hopkins.
A cura di Francesco Dalessandro
Con tre disegni di Guido Strazza
da I sonetti terribili
Mi sveglio e sento l’ammanto del buio, non il giorno.
Che ore, oh che ore oscure trascorremmo stanotte!
Che vedute, tu, cuore, vedesti; che vie percorresti!
E ancora dovrai, nell’indugio più lungo della luce.
Io ne parlo con prove. Ma dove dico ore
intendo anni, intendo vita. E i miei lamenti sono grida
sterminate, grida uguali a lettere perse spedite
a lui, il più caro, che vive ahimè! lontano.
Io sono bile, sono bruciore. Il decreto più segreto di Dio
volle farmi assaporare l’amaro e quel sapore ero io;
ossa eressero in me, carne s’incarnò, sangue colmò la sventura.
Il lievito stesso dello spirito guasta l’inerte impasto.
Per i dannati è così; e il loro flagello è, come io sono
il mio, essere i sudanti se stessi; ma al peggio.
(Traduzione di Francesco Dalessandro)
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