Poeta «tra i maggiori italiani, e non del momento», secondo il giudizio di Luigi Baldacci, Gianfranco Palmery è anche prosatore originale e tagliente, come provano questi scritti di riflessione sulla poesia e sulla condizione del poeta.
Irriducibilmente persuaso che il poeta moderno debba riconoscersi, e trovare la sua verità, nell’esclusione e che ogni apparenza di vita sociale della poesia porti i segni di un folclore miserando di riserva indiana, l’autore di questi brani non si concede lusinghe: «Il poeta è destituito. Non ha né un lavoro né un ruolo. Quello della poesia non è un lavoro riconosciuto, quello del poeta è un ruolo perduto.
Come può, e perché mai dovrebbe, darselo da sé questo ruolo? Agitarsi, alzare la voce, come pure molti fanno, mossi dalla disperazione di non esistere, affannandosi a tenere su, questo presunto ruolo, come una spoglia svuotata?...».
È una perdita di ruolo, e d’aureola, ben nota ai poeti, una destituzione pluricentenaria puntualmente celebrata dalla cultura borghese, e alacremente ribadita, tra finte euforie e offerte speciali delle spoglie, negli ultimi trent’anni.
Sono appunto, i cento pezzi del titolo beffardamente ambiguo, pensieri, note di lettura, aforismi scritti nell’arco di tre decenni, dagli anni Settanta a metà dei Novanta, che l’autore ha scelto e combinato «come un archeologo paziente che si aspetti di veder apparire da dispersi frantumi un disegno rivelatore».
La rivelazione è simile a quella che poteva offrire il «Cavaliere dalla Trista Figura»: ardore e ira consumati in una esistenza sempre più fantasmatica: la fatale corrispondenza tra l’hidalgo immaginario e il poeta destituito – o per restare alla cronaca: il graduale inarrestato isolamento negli anni considerati, fino ai primi del nuovo millennio (e di questo danno conto i testi di Extra Strong), reale, sostanziale, al di là di estremi conforti e festosità d’occasione, della poesia nella società italiana attuale.
Ma questa mancanca di illusioni o lucida consapevolezza può rovesciarsi in un’intima, ironica esultanza poiché, come si legge in Prepostuma: «Questa è la vera età d’oro della poesia. Liberato dall’obbligo di fare carriera, il poeta resta con la sua sola necessità: fare poesia».
da Il poeta in 100 pezzi
I paradossi del poeta
Senza le muse è la noia; senza la noia, niente muse. (l0.VIII.95)
Ogni poesia è sempre postuma: chi scrisse quella particolare poesia non c’è più: ne ha già scritta o ne sta scrivendo un’altra. (16.VIII.95)
Sii sempre in te: è lì che la poesia può trovarti – per tirartene fuori. (al 17.IX.95)
Se la sensibilità è la debolezza del poeta (Valéry), la poesia è la forza della sua debolezza. (17.IX.95)
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