Perché la sventura può dominare rovinosamente la carriera letteraria e la vita di alcuni autori? In che misura congiurano una loro «dote pericolosa», secondo l’espressione di Baudelaire, e l’inadeguatezza dei loro contemporanei?
Seguendo l’intreccio di opera e biografia in autori come Poe, Baudelaire, Keats e Rolfe, attraverso citazioni di lettere, brani di libri e variamente infelici reperti d’epoca, Palmery prova a smontare qualche intramontabile luogo comune sullo scrittore maledetto.
Spesso scopertamente demonizzato, esecrato per i suoi libri o le vicende personali, a volte processato, altre del tutto ignorato, e quasi sempre ridotto alla miseria, il «maledetto» è un uomo diverso, un’eccezione del suo tempo… Ma in che cosa è diverso un tale scrittore dai suoi colleghi «fortunati» e dai lettori che a quelli accordano il loro consenso? E che cos’è la diversità?
«È il possedere – e coltivarsi – un’anima nuova, lontana e in lotta coi conformismi del proprio tempo, la scelta della originalità, il peccato originale che instaura la diversità e porta con sé la demonizzazione»: così sembra concludere l’autore alla fine di questo suo excursus che non propone tuttavia né assoluzioni né condanne, e addita nella «reverenza postuma», ovvero il riconoscimento dopo la morte, quale «retaggio e rituale della cultura borghese», l’amara, derisoria aureola di una grandezza segnata da un tragico dissesto.
In copertina un disegno dell'autore
da Divagazioni sulla diversità
[...] Dev’essere uno speciale pudore che impedisce di parlare delle entrate dei poeti. Spudoratamente però Baudelaire lo ha fatto per sé, rivelando quanto ha guadagnato, in tutta la vita, con il lavoro letterario. Ne parlò una notte al giovane Catulle Mendès che, incontratolo con l’aria terribile «dei giorni di pagamento», in uno dei suoi ultimi ritorni a Parigi da Bruxelles, lo aveva invitato a dormire a casa sua. «Sapete, ragazzo mio, quanto denaro ho guadagnato da che lavoro, da che vivo?». E calcolando articoli, poesie, poemi in prosa, traduzioni, fece il suo sarcastico consuntivo: «Totale degli utili in tutta la mia vita: quindicimila ottocento novantadue franchi e sessanta centesimi». In ventisei anni di attività letteraria, Baudelaire aveva dunque guadagnato poco più di un franco e mezzo al giorno. […] Nel 1867, la sua eredità letteraria fu messa all’asta e acquistata da Michel Lévy per 1.750 franchi. Da allora, quanto hanno guadagnato gli editori di tutto il mondo con la sua opera? Chi vorrà fare questo altrettanto sarcastico conto? Quante edizioni sono state tirate dei Fiori del Male; e quanto ha fruttato questo grande libro, distillato di sapienza e di sofferenza, ai colleghi postumi di quegli editori che non avevano voluto stamparlo, come Lévy, che si assicurò però tutti i diritti, per una manciata di franchi, alla morte dell’autore? [...]
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