«Tu lavori nell’oro.», scriveva Sbarbaro a Barile, «Io lavoro invece in una materia vile che ce ne vuole a farla un po’ luccicare». Anche Annelisa Alleva non lavora nell’oro: la sua è una materia che risponde alle forme opache e passeggere della terra, a pelle, sangue, cibo, lenzuola... lavorate strenuamente nella scrittura come fossero, o fino a farne, un aureo assoluto.
Questo però riesce perché dietro c’è un altro oro: l’oro che il poeta eredita nascendo, quello che negli anni di dedizione acquista, e, soprattutto, quello che perde: tutte le postulazioni edeniche salgono dagli inferni della perdita.
Ma, acquistato o ereditato, l’oro della poesia non apre le porte della felicità in terra – può aprire le porte della bellezza, che dà un genere molto particolare di felicità – così particolare che è quasi simile all’infelicità...
Ecco dunque la pena splendente, o il doloroso splendore, di questi versi consapevolmente estranei alla ortodossia del decorativo e dell’indolore, araldi di quella sapienza che nasce solo da una drammatica necessità.
In copertina un dipinto di Titina Maselli
da L’oro ereditato
So che le diverse età sono chiuse fra loro
come le caste al tempo degli antichi egizi.
«Vi manca il patrimonio della memoria
nostra più remota!», sembra gridare un alto
dignitario, sbarrando la porta d’ingresso.
Ma, ecco, sento un passo trascinarsi
in biblioteca, diverso dagli altri, e due labbra
sbattere involontariamente: un vecchio
professore avanza curvo, con gli occhiali,
lo sguardo ottuso e sprezzante.
E allora non rimpiango più di non conoscere
la guerra, di non essere più vecchia
solo per averti incontrato
quando avevamo vent’anni tutti e due.
UN DIARIO PRIVATO TRASFORMATO IN CANTO
di Franco Marcoaldi
da «La Repubblica»
[...] Nelle poesie di Annelisa Alleva – un diario privato che si trasforma magicamente in canto e perciò stesso nell’oro cui allude il titolo – l’amore è tema centralissimo (in particolare nella struggente sezione Per il sosia, dedicata ad un poeta che era assieme «figlio, madre, maestro, amante»). [...]
SU L’ORO EREDITATO
di Paolo Maccari
[...] L’oro ereditato sarà dunque da intendersi come figura dell’attitudine alla poesia, dell’impulso alla confessione scritta; una materia preziosa, scintillante, che viene ricevuta da altre mani, trasmissione di una dote che è anche – soprattutto – una nuova, emozionata e emozionante, qualità dello sguardo.[...]
L’ORO EREDITATO
di Idolina Landolfi
da «Il Manifesto»
[...] Oro funesto, talvolta, e talaltra libero generoso elemento, cui si affida il segreto di sé, la parte meno umana della propria natura.
Slavista, allieva di Ripellino, al quale ha dedicato articoli e saggi, traduttrice di Puskin (Romanzi e racconti, Garzanti) e di Tolstoj (Anna Karenina, Frassinelli), e, negli ultimi tempi, di poesia russa contemporanea, la Alleva molto deve, nelle sue liriche, alla lezione dei russi, dai classici dell’Ottocento all’Achmatova, alla Cvetaeva, a un certo Majakovskij. [...]
SANGUE E INCHIOSTRO
di Gianfranco Palmery
da «Pagine»
«Tu lavori nell’oro.», scriveva Sbarbaro a Barile, «Io lavoro invece in una materia vile che ce ne vuole a farla un po’ luccicare». Anche Annelisa Alleva non lavora nell’oro: la sua è una materia che risponde alle forme opache e passeggere della terra, a pelle, sangue, cibo, lenzuola... lavorate strenuamente nella scrittura come fossero, o fino a farne, un aureo assoluto. [...]
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