Parola recentamente codificata nel Vocabolario Treccani, la «gattità» entra per la prima volta, felpatamente, nella lingua italiana con questi versi di Gianfranco Palmery: «cerca il cibo, si appisola, si / spulcia: cura la sua faticosa gattità»; così si chiudeva una delle più belle poesie di quegli anni, iniziavano gli Ottanta, dedicate a un gatto.
Questa essenza aliena, che non nasconde agli occhi del poeta tratti demoniaci, sembra però somigliare sempre di più alla nostra «faticosa umanità». Il «demonio infelice», la «gatta di tutti i diavoli» e le «bianche gatte di latte» scoprono il loro lato tenero e terreno: si aggirano tra libri e carte, vanno e vengono dai balconi ai letti alle poltrone; cercano il cibo, si spulciano, si accoppiano, si annoiano, dormono, sognano – e muoiono. Questo libro è un piccolo – o grande – tombeau felino, dove Palmery ha raccolto la maggior parte delle poesie scritte tra il 1980 e il 1995 – anno tristissimo – per il demonio infelice e le sue compagne. La nuova edizione ampliata contiene versi pubblicati per la prima volta.
Con due disegni dell’autore
da Gatti e prodigi
Il Sogno col suo lento respiro, il corpo
di fiamma allungato sulle mie
gambe, sul petto, caldo peso leggero
m’immobilizza: docile subisco
il suo dominio, sono il suo dolce
complice il suo compare il mite animale
che aspetta – sono la cuccia del Sogno
che alla fine si muove a lenti colpi
di coda annuncia il ritorno alla vita:
mobile rossa nuvola riprende
forma di gatto annuvolato e
annoiato che si stende e tenero prova
sulla mia carne l’artiglio affilato.
(23.X.80)
GIANFRANCO PALMERY. GATTI E PRODIGI
di Domenico Adriano
«Il sogno col suo lento respiro, il corpo / di fiamma allungato sulle mie / gambe, sul petto, caldo peso leggero / m’immobilizza». I lettori di questa rubrica riconosceranno subito questi versi, il Sogno che un giorno ritornò alla vita e prese «forma di gatto annuvolato e / annoiato». Una musica sottile distingue le poesie di Gianfranco Palmery, le rende riconoscibili. «Soltanto i gatti delle favole / fanno prodigi?». No, ora ci sono anche i gatti delle poesie che Palmery ha riunito in un libretto, che si chiama appunto Gatti e prodigi.
Asserragliate, incantate, quindici poesie scritte tra il 1980 e il 1995 hanno chiesto di stare qui insieme: per Luce, per Guendy, per Heidi, per Narciso. E perché il disegno fosse perfetto, una splendida coda, Donna con gatta, da Verlaine... Questi sono i giorni in cui potrete vedere molti gatti abbandonati dai vacanzieri. Né questo meraviglia nessuno («Tanto sono gatti, se la cavano!»). Così i poeti come i gatti sono stati abbandonati da sempre, perché si pensa che vivano di puro spirito. Di Palmery si sa poco. Nessuno si chiede come vive, nessuno ne conosce l’età. Quando compare lo fa sempre più in silenzio, come uno spirito felino. E silenziosamente quasi tutti i suoi angelici libri sono stati impressi a Roma, presso le piccole Edizioni della Cometa che furono iniziate dal poeta Libero de Libero. Però le poesie di Palmery non somigliano ad altre di questo secolo: sono ora fiamme infernali che si fanno parole e musica, ora fuochi invisibili, aerei, vibranti, artigli o battere di ali.
«Avvenimenti», 2 agosto 1998
PROFILI GATTESCHI
di Domenico Vuoto
«Il Grandevetro»
La gattità, voce coniata e adoperata da Gianfranco Palmery in una poesia del 1980, inclusa nel suo Mitologie, è il compendio dei caratteri e comportamenti del noto felino. Ma è anche, di riflesso, il sentimento, la vocazione inconfessata – e puntualmente vanificata – a impossessarsi dell’anima gattesca da parte di chi il gatto ama, ne è ammirato e non di rado posseduto. [...]
A FRIENDLY PAWSHAKE (Un’amichevole stretta di zampa)
di Michele Colafato
Adesso che “gattità” è entrata, con coda di definizione, nel Vocabolario Treccani passiamo all’esplorazione del suo ambiente.
Si può e ci si deve aiutare con la poesia di Gianfranco Palmery dal cui seno la parola “gattità” per la prima volta “si slancia fuori… per un bagno di luce”, proprio come quel “gatto fulvo” che “cura la sua faticosa gattità” , appunto.
E’ il 1980.
Questo gatto il poeta lo dice “demonio infelice che…mi è figlio e fratello”.
Paternità e fratellanza: sembrano porsi all’inizio della storia. Ma la storia è una spirale.
La gattità avevo cominciato a sospettarla in alcune particolari istanze.
Annunciata al telefono dalla voce di Gianfranco scompassata, o sconquassata, dalla urgenza e delicatezza del trattamento in atto a beneficio di qualche figlio o figlia, fratello o sorella.
La voce posponeva la chiamata.
Grazie alle poesie ho imparato a guardare il luogo della gattità, che è quello della lunga se-clusione domiciliare di Gianfranco, come una casa di prodigi.
Quali?
Quelli di cui è stato prodigo il nostro “marchese di Carabas spiantato”, con sul suo stemma “un gatto senza stivali”.
Figliolanza e fratellanza, paternità, maternità, sorellanza si svolgono nelle sale del marchesato in danza meravigliosa, perfetta, a tratti, per intrecci e per riflessi: compagnie (“sarò un nume felino, dio e compagno di lunghe ore di sonno e di stupore”), convenienze (“sempre in cerca di grembo questa nera gatta”), complicità (“e lì restare in una eterna feria infantile e ferina”), comparanze (“sono il suo dolce complice, il suo compare”), concubinaggi oscuri (“nell’ombra insieme dormiamo”), guardianìe reciprocate (“ben guardati guardiani”), con-curanze (“io mi curo di lei e lei cura me…un patto d’amore, reciproco e perfetto”), con-sognanze (“sognerei i tuoi sogni”), fino alle compassioni, e ai silenzi.
Un accento di liricità domestica dà forma al “piccolo paradiso precario”: “messo su con gioie di tutti i giorni: i giochi, i sonni sulle ginocchia e le giravolte rituali intorno ai fornelli”. Ma subito si svela il suo prolungamento, che non è un inferno: “insieme, in segreto, sfrenatamente di tutto beffandoci volteggiamo in mille buffonerie cruente e tenere.”
Intervento alla «Festa della gattità», 15 ottobre 2014, Roma
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