Amore dell’eccezione,
autenticità e
sapienza letteraria
Pubblichiamo poesia,
narrativa, saggistica
e arte
Amore dell’eccezione, necessità e sapienza letteraria: a questi criteri, fin dall’esordio nel 1980, rispondono le scelte dei nostri libri. Pubblichiamo poesia, narrativa, saggistica, arte: opere di autori italiani viventi o storici e di stranieri in traduzione d’autore.
All’arte è riservata un’attenzione speciale, dal momento che i disegni interni e di copertina dei nostri libri sono eseguiti da artisti contemporanei, vedendo così ristabilito «quel vitale contagio, che altre età hanno conosciuto, tra letteratura e arti figurative», secondo il proposito dichiarato nel primo fascicolo della rivista «Arsenale».
«Guida per un primo approccio alla lettura delle poesie di Marco», l’incipit o titolo della prefazione che Elio Pagliarani volle scrivere per Il mondo all’aperto, primo libro di Caporali. Incontrammo anche noi un poeta vigoroso, non privo di spigoli eppure semplice («fugace mi ostento a chiamarmi. / Mi trovo chinato a una goccia / assaggio le mie evaporate forme»). Nel corso di più di trent’anni vie si sono aperte, a più finestre chi scrive si affaccia con Il borgo dell’accoglienza. Ora, «quando più luminosa è ogni cosa / in quiete l’inquietudine si muta», una «quieta confidenza» ci soccorre. E alberi maestri, alberi badanti, terre sommerse o riemerse dove parlano pietre; infine un borgo, un bosco interiore non meno vero di quello reale. Una doppia luce avvolge la poesia di Marco: la prima interamente nostra, azzurra; l’altra molto a nord, attardata sul filo dell’orizzonte.
Le date che si leggono sul frontespizio di questo libro incorniciano l’opera di un poeta ritrovato, “energico, ragionatore, sempre vicino alle ansie della Storia e alle degradazioni della realtà”, secondo la definizione di Donato di Stasi, che, così continua: “Oltre alla verità sfuggente delle cose e dei fatti, Francesco Paolo Memmo è interessato alla dimensione morale dell’esistenza, per questo le sue onde interrogative si allungano fino al lettore, coinvolgendolo in una comune tensione ideale, nella condivisione della stessa sostanza sensibile che si sprigiona dal pensiero”. Attraverso quelle “onde interrogative”, il “basso ostinato” musicale evidenziato nel titolo assurge in fin dei conti a metafora di un fare poesia che, con toni ironici e autoironici, esplora un razionalismo scettico e un’estetica priva di sentimentalismo.
Libro di rigorosa architettura poetica, articolato in cinque campiture compatte e in situazione diacronica, è al tempo stesso un omaggio dell’autore ai suoi maestri, a De Libero e a Vigolo, a Ungaretti e a Margherita Guidacci, ai più prossimi Tommaso Lisi e Rodolfo Di Biasio, fratello maggiore quest’ultimo e maestro a pari titolo. Nel tributo alla loro ispirazione, nell’asciuttezza aristocratica della scrittura, Domenico Adriano ci guida nel suo mondo dalle sopravvivenze arcaiche impersonato da un’ava che conserva per la vita il vestito dell’ultimo viaggio, da un padre amatissimo, reduce dall’internamento, che in soglia di congedo parla con gli uccelli dei rami, da un amore ugualmente di ascendenze antiche che vediamo prendere la parola, farsi voce, “dettare” le improvvise accensioni di una sapienza – Anna sa – in dialogo con le piante, gli alberi, i semi della terra.
Camminando è un libro nel quale la poesia coincide con la memoria, con il dire in versi itinerari (lungo i quali si cammina, appunto), di scrittura ed esistenziali, i quali si danno a essere seguiti e percorsi in forza di un’espressione limpida, rigorosa.
Camminando raccoglie testi scritti in anni e fasi differenti della vita e della scrittura. Nello stile umanissimo e franco, armonioso di Francesco Dalessandro ecco, allora, luoghi, situazioni, incontri cui siamo già avvezzi per aver letto le opere precedenti dell’autore. E c’è una commovente e persuasiva fiducia nella parola che non dismaga dalla presenza del dolore e del lutto, ma che cordiale accompagna il lettore lungo le pagine, di capitolo in capitolo, nutrita di virgiliana pietas, di oraziano modus in rebus.
«Tempo, soltanto tempo è una piccola casa di pietra a vista che decora, nei limiti dell’edilizia rurale, il versante selvaggio della poesia italiana in cui, per indole, mi sono collocato. Molto simile a una terra collinare e appartata di quella Toscana prossima all’Umbria dove ho vissuto gran tempo in anni lontani decisamente fertili, e lunghi il giusto perché potessi seminare e veder crescere quella che, a tutt’oggi, è la mia benedetta pianta dello stare al mondo; una pianta che non smette di fiorire, benché avanti negli anni e, suggerendomi di fare altrettanto, anche nelle più sostenute bufere cronologiche oscilla instancabile fra nostalgia e riconoscenza, come se il pianeta in cui, attraverso me, ha messo radici meritasse sentimenti tanto profondi e nobili».
L’occhio della poesia su Il Flauto Magico di Mozart: libro “unico”, inevitabile –
Tra le tante opere e i tanti ruoli mozartiani che ho cantato, studiandoli, analizzandoli e ricreandoli con maestri meravigliosi come Herbert Von Karajan, Karl Böhm, Jean-Pierre Ponnelle o Nickolaus Harnoncourt, Il Flauto Magico si distingue per l’ampiezza delle sue possibilità d’interpretazione. Basta dire Il Flauto Magico e ci brillano gli occhi, e cominciamo a sorridere, come se custodissimo dentro un segreto prezioso. […]
Un racconto breve che, partendo da un momento di crisi, indaga la forza delle donne. Diverse figure femminili, della realtà e della letteratura, diventano occasione di riscatto e di esempio per la giovane protagonista Viola, che si affaccia alla vita.
Riscoperto dopo quasi cinquant’anni, un poemetto che è una piccola Odissea –
La scoperta postuma di un poeta autentico costringe a riflettere sul perché non abbia mai ricevuto, in vita, quel che la sua poesia dimostra che avrebbe meritato. Questa considerazione solo in parte si applica a Camillo Fonte (L’Aquila, 1951-1987), un poeta che nulla fece per farsi conoscere o far conoscere la sua poesia, e che quando decise di uscire di scena con un colpo di pistola, lasciando solo una piccola grande opera inedita, non aveva pubblicato che alcune poesie su rivista.
È la sua un’opera di consegna, assai rastremata, dove a parlare è la stessa poesia con una consonanza assoluta tra le voci. Dietro, in filigrana, l’impronta asciutta semplice di un’ara.
Dal risvolto di copertina di Domenico Adriano
Con i Sonetti d’amore per King Kong, nel 1977 la poesia di Gino Scartaghiande arrivò potente se tra le voci che la salutarono poté esserci Amelia Rosselli, che vide bene quella dirompenza poetica «sorpassare l’individuale». Di «terribile forza di ironia, di dissacrazione, e nello stesso tempo di freschezza», parlò Andrea Zanzotto. Venne solo un altro libro, Bambù, nel 1988. Poi negli anni pubblicazioni clandestine, quasi postume – a rodere il coraggio del silenzio –, imposte da nascoste “caverne” dell’anima. Rare poesie, come incise, subito riconoscibili per rigore e accento, misura. Per le «sprezzature, le collisioni, gli scarti linguistici» come ebbe infatti a scrivere Domenico Vuoto.
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